
I remember when my aunt, during the early 80's, used to spend months in India as an Hippy girl...
I was very little but I can still recall the smell of the incences she brought home, after her long journey. The "strange" smell of that little coloured cones that, once lit, gave off such a strange and fascinating scent, was so unexpectedly attractive and, in some ways, well-known for me.
Actually, I was also very intimidated and, at the same time, attracted by the "odd" faces I could see on the packaging of the incences: princes dressed in strange cloths, with peacock feathers on the top of the head and jewels, some others had an elephant head or more than two arms! Some of them had a blue face!
Actually, I was also very intimidated and, at the same time, attracted by the "odd" faces I could see on the packaging of the incences: princes dressed in strange cloths, with peacock feathers on the top of the head and jewels, some others had an elephant head or more than two arms! Some of them had a blue face!
At that time, I obviously couldn't understand, I was just 4 years old.
But, as you know, we put everything in the storage of our mind and we just leave all these information in a little drawer, waiting to use them at the right time...

Now that I know the precious meaning of figures as Sri Krishna, Sri Ganesh, Hanuman, Shiva, I can say that they were "calling" me in some ways.
Every time I go to India, she (I say "she" because it's like a loving Mother who teaches me important lessons) introduces to me a new manifestation of the Divine. Once she told me the deeds of Hanuman, the perfect disciple who opens his heart to show where is his God. 
I was so moved by the statue of Shiva in Rishikesh: a symbol of strength, magnitude, peacefulness and limitless love, even if overwhelmed by the impetuous waves of Ganges, he keeps still and in bliss. No sign of perturbation.WoW!
I am so touched by the stories of Sri Krishna, a beautiful Prince and an Avatar, full of compassion and universal Love. Prince of compassion, prince of kindness to all.

So, this recipe is a little tribute to India, to everything I always received from this wonderful country.
Actually it's a medieval Sicilian dessert (Biancomangiare literally means "Eat white"), revisited in a Indian style, with spices and coconut milk. "In a fullmoon night" because this dessert looks like a white, magic, oriental moon...
My India, thank you for having embraced me, thank you for having also beaten me sometimes, thank you for having blessed me, thank you for having cleaned myself (and also for having made me dirty!), thank you for all the beautiful souls that have walked on your soil. They blessed your land and all who will come to you.
I love you India.
Ingredients for two:
1 can of organic coconut milk
1/2 glass of vanilla soy (or rice) milk
3 Ts of raw sugar
50 gr of grated coconut (dried or fresh)
2 ts of agar agar powder
2 ts of maize starch
1 pinch of vanilla powder
1 pinch of cinnamom
2 cloves
4 cardamoms (use the little seeds inside)
grated rind of 1 lime
grated white chocolate
Preparation:

Then add the grated coconut and the grated rind of the lime. Mix well and cook it for 5 minutes more. It has to be like a heavenly cream.
Now put this wonderful aromatic cream in a glass bowl or in a cake mold and leave it cool down. Then put it the refrigerator for 2 hours.
If you are a good illusionist you can try to reverse it upside down and then cover the full moon with white chocolate chunks. Otherwise, just enjoy it with a spoon ;-)
Setting the table:
I suggest you to buy a super coloured indian cloth, light up an incense and eat this sweet dessert under the magic light of a full moon. Then, let go everything and enjoy "the eternal now"...
The music:
This is one of my favourite songs...Govinda Hare by Krishna Das.
The movie:
Every time I watch this film I am completely overwhelmed by his greatness...
Gandhi by Sir Richard Attenborough.
Forse avrete intuito che ho un
legame un po’ speciale con l’India... Semplicemente la amo con tutto il mio
cuore e a lei mi inchino. Ricordo quando mia zia, nei primi anni ’80, era solita trascorrere diversi mesi in
India vivendo come una hippy girl… Ero molto piccola ma posso ancora ricordare l’odore
dell’incenso che portava a casa, dopo uno dei suoi lunghi viaggi.
Quello “strano”
aroma che quei piccoli coni colorati, una volta accesi, lasciavano andare pareva
al mio olfatto un po' bizzarro e nello stesso tempo terribilmente affascinante. Così
inaspettatamente attraente e, allo stesso modo, così “noto”. In realtà ero
molto intimidita ma anche attratta da quegli strani volti che erano stampati sulle
confezioni degli incensi: Prìncipi vestiti con abiti sgargianti, con
piume di pavone sulla fronte e tanti gioielli, alcuni avevano una testa di
elefante e altri ancora addirittura più di due braccia! Alcuni avevano la
faccia completamente blu! A quel tempo, ovviamente, non potevo capire: avevo
solo 4 anni.
Ma, sapete, spesso mettiamo tutto
in un cassetto all’interno della nostra mente e lasciamo lì le cose, aspettando
solo il momento giusto per tirarle fuori…
Più di
35 anni dopo, posso ora dire che una parte davvero profonda di me aveva invece
riconosciuto quei volti come familiari, perché, in realtà, lo erano veramente.
Ora so quale prezioso significato abbiano
le figure di Sri Krishna, Sri Ganesh, Hanuman, Shiva… Posso dire che in qualche
modo mi stessero “chiamando”…
Tutte le volte che vado in India, Lei
(dico Lei perché è davvero come una mamma che mi insegna ogni volta qualche
lezione importante) mi presenta una nuova manifestazione del Divino. Una volta
mi ha raccontato delle incredibili imprese di Hanuman, il perfetto discepolo
che apre il suo cuore per mostrare dove sia il suo Dio.
Un’altra volta, mi ha
narrato la storia di Shiva, il distruttore, senza il quale nessuna cosa può
evolversi. Sono stata così colpita e toccata dalla visione della statua di
Shiva a Rishikesh: un simbolo di forza, magnificenza, pace e amore infinito,
anche se quasi completamente sommersa dalle onde impetuose del Gange, rimane immobile
e in profonda meditazione. Nessun segno di perturbabilità. Wow!
Mi commuovono così tanto le
storie di Krishna, un meraviglioso Principe e Avatar, pieno di compassione e di
amore universale per l’umanità. Qualche anno fa, ho incontrato un’anima unica,
un Santo, un Maestro, un Padre. Ho trovato la mia strada e questo è tutto ciò
che davvero desideravo nella mia vita.
Quindi, questa ricetta è un mio
piccolo tributo all’India, a tutto ciò che ho ricevuto da questo meraviglioso
paese.
In realtà questa è la ricetta di
un dessert siciliano rinascimentale (il Biancomangiare), rivisitato in stile
indiano, con spezie e latte di cocco. “In una notte di luna piena” perché ricorda
molto una magica, bianca luna orientale…
India mia, grazie per avermi
abbracciato, grazie per avermi anche bastonato a volte, grazie per avermi
benedetto, grazie per avermi pulito dentro (e anche sporcato), grazie per tutte
le splendide anime che hanno camminato sul tuo suolo. Esse hanno benedetto la
tua terra e tutti coloro che sono venuti a te.
Ingredienti per due:
1 lattina di latte di cocco bio
½ bicchiere di latte di soia alla vaniglia (o di
riso)
3 C di zucchero grezzo di canna
50 gr di cocco grattugiato (secco o fresco)
2 c di polvere di agar agar
2 c di maizena
1 pizzico di vaniglia
2 chiodi di garofano
4 cardamomo (utilizzate I piccoli semi al loro
interno)
La buccia di 1 limone grattugiata
Cioccolato bianco grattugiato.
Preparazione:
In una pentola
antiaderente mettete il latte di cocco, il latte di soia (o riso), lo zucchero,
la polvere di agar agar, la maizena e tutte le spezie (ricordatevi solo di
togliere alla fine i chiodi di grofano) e fate bollire per 5 minuti.Quindi aggiungete il cocco
grattugiato e la scorza del limone. Mischiate bene e cuocete per altri 5
minuti. Deve diventare un crema soffice.
Ora mettete questa fantastica
crema piena di aroma in una ciotola di vetro o in uno stampo da dolci e
lasciate raffreddare per un po’. Quindi mettete il tutto nel frigorifero
per almeno 2 ore.
Se siete dei bravi illusionisti
potete provare a ribaltare lo stampo o la ciotola per poi ricoprire la mezza
luna piena con delle scaglie di cioccolato bianco. Altrimenti, godetevi questo
dessert semplicemente con un cucchiaino… ;-)
L’apparecchiatura:
Vi suggerisco di comprare una tovaglia indiana di
stoffa supercolorata, di accendere un ottimo incenso naturale e di mangiare
questo dolce sotto la magica luce di una luna piena. Poi lasciate andare tutto
e godetevi l’“Eterno Adesso”…
La musica:
Questa è una delle mie canzoni
preferite in assoluto: Govinda Hare di Krishna
Das.
Il film:
Ogni volta che guardo questo
film, mi sento completamente sopraffatta dalla commozione…
Ho ritrovato qualche giorno fa, uno scritto, una pagina del mio "diario di bordo" del mio primo viaggio in India. Risale a 12 anni fa. Mi fa tenerezza questa Caterina che racconta tutte le sue impressioni, le sue paure e difficoltà, che prova con tutte le sue forze a comprendere... Quante cose sono cambiate... Voglio condividerla con voi:
DIARIO IN INDIA – 8° giorno – 35° all’ombra AGOSTO
2003
In questo momento
sono sola, sul letto nel nostro albergo di Varanasi. Siamo arrivati ieri sera,
dopo un estenuante ma (lo devo ammettere!) piacevole viaggio in treno. Questo
paese a volte sorprende per la sua dolcezza. Sembra abbracciarti, così, da un
momento all’altro, senza preavviso. Mi riferisco ai biglietti del treno che non
abbiamo dovuto far “rincarare” con le solite mance al capotreno e alle calde e
pulitissime coperte di lana (con cuscino) che vengono date per il viaggio. Non
ci credevo…
Abbiamo
attraversato intere distese verdi di campi, coltivazioni, pascoli e poi ancora
piccolissimi villaggi sperduti, strade fangose e rosse, case di terra e paglia,
pozze profonde di acqua melmosa dentro alla quale galleggiano, morbidi e
annoiati, bufali neri e lucidi.
Dal finestrino, a
ogni stazione, ho incrociato, sonnolente, volti di ogni genere, visi che però difficilmente
si possono cancellare: bambine appena adolescenti con in braccio il fratellino
più piccolo (o il loro bambino?) spettinate, stanche, affannate ma fiere e
“grandi” nella loro serietà; donne grasse strizzate nelle loro vesti,
accompagnate da un marito straripante di monili, ori e bottoni della giacca,
entrambi tirati al massimo. E poi ancora: un uomo Sikh, salito poi sul nostro
terno, elegantissimo nel suo turbante vermiglio e orgoglioso dei suoi
lunghissimi baffi arrotolati contro le guance; anziane e rugose donne con la
pelle scura cotta dal sole e con i capelli grigi, d’argento, tanto in contrasto
con i colori sgargianti e irripetibili dei loro sari.
Sì, stonano. Stonano
per noi che abbiamo una società che ha deciso che le persone anziane si debbano
vestire solo di grigio o di blu o di tutti quei colori così “dignitosi” per una
persona di una certa età. Tutte balle.
Quando ero piccola mia
zia (viaggiatrice da oltre 35 anni in India e all’epoca una grande “freakettona”)
mi raccontava, quando tornava dopo anche due anni di abbandono dell’Italia, del
suo stupore nell’aver scoperto che i vecchi volti indiani non hanno paura dei
colori: rosa pallido, violetto, arancione, azzurro... “Un posto in cui le
regole sono tutte sottosopra” pensavo. E intanto, inconsapevolmente, accantonavo
nella mente un’immagine che poi mi sarebbe riapparsa a distanza di vent’anni e
più, in questo viaggio attraverso il continente indiano.
Per arrivare a
Varanasi siamo partiti da Satna e, dopo 10 ore di cammino su rotaie, siamo
arrivati alla nostra destinazione, considerata la città più sacra e santa
dell’India. Mi hanno detto di tutto su questo posto: troppo forte per una come
me, troppi morti, troppe cose impressionanti. Perfino la zia freakettona mi ha
avvisato con forza: “Ti sconvolgerà, non sei pronta, NON ANDARE a Varanasi”.
È logico: sono
spaventata.
Siamo arrivati verso
le 22,30 in una stazione piena zeppa di gente seduta e sdraiata per terra. È impressionante,
quasi da non credere a propri occhi: donne, vecchie, cani randagi, capre,
bambini, uomini, di tutto. Tutti accampati per terra, tra le pozzanghere, il
fango, la polvere. Senza pensare alla gente che passa, al rumore, ai treni,
alla puzza di fumo e gasolio.
Fuori dalla
stazione, come al solito, un’aria calda, appiccicosa, unta e dolciastra,
migliaia di clacson, campanelli, motori roboanti, segnali acustici di ogni
genere. E dieci interessati a strapparti via lo strappabile… “Ten rupies, ten rupies!” dicono i
bambini allungando la manina, “Hotel?
Here! Here!” ci assalgono invece i taxisti e i pedalatori di risciò. Queste
voci e questi rumori sono l’India.
Per fortuna, per
una volta, il servizio è stato veloce e pronto: con un motorisciò siamo arrivati
all’albergo che abbiamo scelto sulla Lonely Planet. Abbiamo preferito stare su
una sistemazione “medio-costosa” almeno per una notte, visto che sto accusando
e pagando lo scotto dell’aria condizionata del treno e dei continui sbalzi di
temperatura tra i 40° del “fuori” e i 15° del “dentro”. Dovrebbe essere un
albergo molto particolare, con quadri antichi appesi alle pareti e un
proprietario con il quale poter scambiare quattro parole.
“Non c’è posto”. Il
proprietario ci dice che c’è suo cugino che gestisce l’hotel proprio accanto.
Ok, bussiamo all’albergo vicino. Ed eccoci in una bella e pulita camera. Il
posto si chiama “Palace of Ganges” e
infatti dalla nostra finestra si vede questo enorme volume d’acqua in
silenzioso movimento.
Ieri dal treno ho
visto una cosa meravigliosa. E non so neanche perché io la definisca così. Ad
un certo punto il treno ha iniziato a “sorvolare” il Gange. Era impressionante:
il treno era “appeso” sull’acqua a trenta, quaranta metri d’altezza. Sotto:
questa massa color ambra che silenziosa si muove lenta, seguendo la propria
corrente. Era la prima volta che lo vedevo.
Il Gange regala la
stessa sensazione di quando ci si perde guardando il mare. Un po’ per le
dimensioni (è immenso), ma soprattutto perché si mostra come un essere impressionantemente
vivo, un’identità precisa, un qualcosa che respira, un immenso corpo fluido che
si accomoda e si rivolta nel suo letto umido, un’eminenza davanti alla quale
provare soggezione.
Esattamente come si
è materializzato all’improvviso sotto i miei occhi all’inizio del ponte, così
alla fine del passaggio, il Gange si è esaurito. Ho guardato ancora verso il
basso e ho visto che sulla riva del fiume c’erano alcune persone e, osservando
meglio, c’era anche una macchia rossa, forse arancione (qui i colori sono
indefinibili per la loro infinita quantità di gradazioni). Una macchia rossa
bagnata: era un corpo avvolto in una stoffa. Era una persona morta.
Il cadavere stava
per essere gettato nel fiume. “Ma allora è vero!” ho pensato. Sì, è vero: i
corpi vengono buttati nel fiume ed è stata la cosa più serena e dolce che abbia
visto fino a quel momento in India. Naturale. Sembrava che il fiume fosse lì,
pronto ad accogliere quell’involucro vuoto, a riprendersi quella “scatola” dopo
questo ciclo di vita.
Come quasi dicesse:
“Ce ne hai messo di tempo, eh? Dai, vieni che ti accolgo e ci penso io a te.
Non ti preoccupare. Adesso ricominciamo…”.
È strano perché in questo
istante il Gange è proprio qui fuori dalla finestra. Basta che alzi la testa
leggermente per vederlo. E invece non voglio. Non lo so. Ma è come guardare
negli occhi un animale. Sembra uno specchio più che una massa d’acqua, ma non
uno specchio materiale, uno specchio emozionale, spirituale, esistenziale. La
famosa eminenza davanti alla quale inchinarsi.
Oggi sono davvero
malata. Che bell’alibi… ho la febbre e non me la sono sentita di uscire. È
vero: forse non me la sono sentita anche per altri motivi. Ho preferito
“mandare avanti” Valerio, il mio compagno di viaggio e di questo (spero più
lungo possibile) pezzo di vita. Mi sono fatta il mio bel pianto stamattina. Ho
pianto di stanchezza, di febbre. Ma anche, sono sicura, perché non riesco ad
“entrare” in questo paese, così come vorrei. Non ancora.
Caspita: è il paese
della spiritualità e io ho chiuso i battenti con la meditazione. Non ci riesco
in questo momento e non voglio. Punto.
E così ho chiuso
tutto, arroccata dietro al “sto bene così” e non concedo nulla. In fondo posso
sempre barricarmi, con il coltello fra i denti, dietro al fatto che questo è sì
un paese spirituale, ma che c’è anche tanta povertà, tanto sporco, tanti
fastidi, ritardi e contrattempi. E che quindi ho tutto il mio bel motivo per
essere chiusa!
Ma forse è
semplicemente perché l’India è “troppo”. Troppe emozioni, troppi stimoli,
troppo rumore, troppo “Io, India, rifletto solo quello che tu sei, sei sicura
di avere capito, Caterina, ciò che sei? Ti sei forse già persa?”…
Mi dispiace perché sto
perdendo un’occasione preziosa. Forse il primo viaggio in India è quello turistico,
per prendere le misure. Forse la seconda volta è quella per l’anima. Mamma mia
quante scuse, quante giustificazioni mi sto dando.
In quante strette e
squallide scatolette di certezze sto cercando di far entrare l’India e quello
che mi sta provocando dentro…
Qui è tutto troppo
scioccante. Altro alibi….
Potrei trovare
mille cose che non vanno bene, ma la verità è un’altra. Sento che c’è qualcosa
che mi sta chiamando ma non riesco a capirne le parole. Qualcosa sta lavorando
dentro anche se io faccio la resistenza più serrata di questo mondo.
La verità è che l’India
è sporca e preziosa insieme, cattiva e mamma allo stesso tempo, minacciosa e
fragile, invadente e schiva. L’India è di un grigio-marrone-nero profondo.
Quello delle botteghe di latta luride fino al soffitto. Tutto è di questo
colore: pareti, cibo, vestiti, bambini, cani, scrofe.
Ma l’India è anche gialla
zafferano, rossa camelia, azzurra mare, verde acido, rosa, viola, lilla,
cobalto, indaco... Ma come è possibile? Come è possibile che sia tutte queste
cose insieme? Ma che schiaffoni mi sta dando! Ma quanto forse ne ho bisogno?!
Ok, va bene: oggi
mi riposo tutto il giorno. Oggi è vacanza. Anche dall’India. Lo so, sono anche preoccupata
per Valerio. E fino a quando non sarà qui e potrò riabbracciarlo non sarò
tranquilla. Mi farò raccontare tutto ciò che ha visto “là fuori”. Poi toccherà
a me. Domani. Oggi è vacanza.